Per lungo tempo gli impianti di ciliegio sono stati caratterizzati da bassa o media densità (≈ 500 alberi/ha) per cui la scelta del portainnesto era orientata verso tipi e specie vigorose tra cui il franco di Prunus, l’ SL64, l’ibrido Colt ed i cloni di ciliegio acido della serie CAB (Lugli, 2011). Tuttavia, la tendenza attuale in diverse zone vocate (Arco alpino, Emilia-Romagna, Veneto ed in parte Puglia) è quella di scegliere portainnesti che consentano di realizzare impianti a densità medio-alta o alta (800-1200 alberi/ha) per migliorare la gestione delle pratiche colturali (potature, raccolte ecc.) ed una maggior efficienza produttiva. Tra i portainnesti nanizzanti consigliati vi sono gli ibridi Gisela 6 e Gisela 5, comunemente utilizzati in ceraseti a più alta densità e, più recentemente, PHL A e Pi-Ku 1. È tuttavia noto come i portainnesti nanizzanti siano caratterizzati da una marcata riduzione della conducibilità idraulica dell’albero, soprattutto nel punto d’innesto, dove a volte si riscontra una maggiore proliferazione di callo e tessuto parenchimatico (Olmstead et al. 2006) a causa della disaffinità più o meno elevata tra i due bionti. Generalmente questo porta anche ad un ridotto sviluppo radicale con conseguenti difficoltà nell’assorbire tutta l’acqua richiesta dal processo evapotraspirativo. Questi fattori comportano una riduzione del potenziale idrico del fusto e della crescita vegetativa con effetti a volte negativi sullo stato nutrizionale delle foglie e sulle performances fotosintetiche fogliari (Gonçalves et al. 2005, 2006).
Per questo motivo, nonostante l’utilizzo di portainnesti nanizzanti porti generalmente ad un miglioramento dei livelli di fruttificazione, dell’efficienza produttiva e, non sempre, della qualità dei frutti, i risultati variano molto in funzione della cultivar, dell’età dell’albero, della gestione irrigua, del tipo di suolo e dell’areale di coltivazione. Le motivazioni alla base di questa variabilità produttiva non sono però ancora totalmente chiare.
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